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PROJECT / CANTIERI E PAESI

CANTIERI E PAESI

Le cose possono parlarci esattamente come le persone. Un muro, una porta, una finestra, una casa, un utensile, sono occhi che ci guardano, voci che ci parlano. Il trascorrere del tempo come scava le rughe nei volti, così sgretola i muri e corrompe la materia.
Sono lì da quando? e per quanto ancora, prima di scomparire rimosse o sostituite dal nuovo? La luce da est a ovest, le stagioni, le nuvole, il verde che trova breccia, solo questo anima la loro presenza.
Queste strutture, questi edifici, queste cose parlano ad ognuno diversamente: silenzio, pace, desolazione, attesa, morte, bellezza.
Nessun giudizio etico o estetico, ognuno sente se stesso.
In Cantieri e Paesi ho riunito fotografie scattate in Italia e all’estero a partire dai primi anni 2000.

Angela Pietribiasi

Angela Pietribiasi, nel panorama contemporaneo dell’arte conduce una ricerca soggettiva intimista e inusuale. L’autrice predilige aree dismesse, quartieri degradati, luoghi dimenticati. Nelle sue peregrinazioni, esplora con sguardo poetico siti di archeologia industriale, coglie una sottesa e metafisica bellezza di edifici industriali abbandonati, ex cantieri o altri scenari del lavoro dismessi, ammantati dal silenzio nei meriggi d’estate. Con la luce naturale di quel preciso istante cerca di immortalare altro, luoghi dell’attesa saturi di problematiche sociali oltre le apparenze, mettendo in relazione diversi soggetti. Alcune immagini sembrano dipinti, evocano i paesaggi urbani di Mario Sironi, i colori di Carlo Carrà, le vedute metafisiche di Giorgio de Chirico, la luce di Felice Casorati e di Edward Hopper e altri pittori del gruppo Novecento di Margherita Sarfatti (non dimentichiamoci che l’artista nasce come pittrice). I suoi muri sgretolati, le finestre, le porte chiuse, le grondaie fatiscenti, scale, secchi e utensili di lavoro dimenticati nei cantieri e altri frammenti di tempo, sembrano spettri evanescenti di presenze umane. Queste e altre testimonianze fotografiche del tempo e dello spazio “scrivono” un diario visivo soggettivo, in cui ogni dettaglio diventa traccia, reperto, segno e memoria. Immagini quali presupposto per immortalare processi di cambiamento della società, cause ed effetto di urbanizzazione industriale che modificano i nostri comportamenti, abitudini e valori.

I suoi insidiosi “reportage” metafisici e silenti di paesaggi contemporanei, quali luoghi dell’attesa, dal realismo magico suggestivo, in realtà denunciano emergenze ambientali, emarginazione, immigrazione, differenze culturali e in particolare sollevano amare riflessioni sull’annichilimento dell’individuo, fagocitato dalla solitudine nell’epoca globale, senza descriverlo, attraverso immagini evocative e simboliche. Nelle sue fotografie il paesaggio e la città si fondono in un’unica immagine, irrorata di luce naturale. I suoi temi sono: la metafisica dell’ordinario, il tempo, lo spazio, la perdita di identità e della nostra memoria. Il tempo trascorso, immobile, quello che consuma le cose e soprattutto quello che inesorabilmente sfugge, è la chiave di lettura delle sue fotografie in bilico tra realtà e visione, filtrate da una sensibilità pittorica e dal suo linguaggio interiore. Attraverso fotografie apparentemente silenti e rassicuranti, dove tutto sembra calmo e in armonia, inclusi gli elementi del caos, mai didascaliche, si invita lo spettatore a riflettere sulla condizione dis- umana, in realtà “urlano” contro lo sfacelo della nostra civiltà ipermoderna, presentando soggetti diversi in cui natura, storia sociale e industriale si intrecciano all’interno di scenari del dubbio, dove la fotografia è un trucco che si fonda sull’illusione e diventa pretesto, esperienza visiva e di conoscenza.

Jacqueline Ceresoli

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